sabato 2 settembre 2023

Normanni a Gaeta e in alta Terra di Lavoro

di Jason R. Forbus, autore del saggio Vichinghi. Tra storia e leggenda

Che impetuoso fiume di storia è corso per le strade e i vicoli di Gaeta! Quante civiltà, nel corso dei secoli, hanno lambito le sue sponde passandosi corona e scettro, non prima però di aver lasciato una traccia: culturale, linguistica, genetica e storica, in una stratificazione che continua e continuerà molto tempo dopo di noi, che su questa terra siamo di passaggio. 

Tra i popoli che hanno dominato il territorio, un tutto sommato breve ma affascinante capitolo lo hanno scritto i normanni, gli “uomini del nord” dal caratteristico elmo puntuto. I loro avi furono vichinghi al seguito di Hrólfr (Rollo o Rollone)1, abile condottiero che guidò incursioni nelle Isole Britanniche e lungo la costa settentrionale della Francia, saccheggiando Parigi dove causò grande devastazione. Nel tentativo di arginare le continue incursioni vichinghe e allo stesso tempo trasformare Rollo e i suoi uomini in alleati, nel 911 d.C. il re di Francia Carlo il Semplice sigla lo storico trattato di Saint-Clair-sur-Epte con il quale Rollo giura fedeltà alla corona. In termini pratici, il vichingo sposa Gisèle (una figlia legittima di re Carlo) e ottiene il titolo di conte di Rouen, diventando così legittimo signore della terra tra il fiume Epte e il mare «in piena proprietà e buona moneta». L’anno dopo si battezza, un atto politico più che di fede che serve da apripista alla conversione di altri jarl (capo) facilitando in qualche modo l’apparato giuridico e amministrativo alla base dei primi regni unitari in Scandinavia. Nell’arco di una generazione il dominio normanno viene esteso manu militari verso ovest e la conquista prosegue fino all’instaurazione di un'egemonia politica (metà XI sec.) sulla regione che oggi conosciamo, appunto, come Normandia. 


L’arcivescovo di Rouen, Gui, tratta con Rollo. Miniatura del XIV secolo, Biblioteca Comunale di Tolosa, ms. 512.



I normanni assimilano in breve tempo gli usi e i costumi dei franchi, adottano la lingua d’oil e abbracciano la croce ma senza perdere lo spirito battagliero e opportunistico delle origini. Lungi dal placarne la spinta espansionistica, il loro ingresso tra i feudatari di Francia spinge molti armigeri rimasti a bocca asciutta a seguire le orme degli avi e a salpare verso nuovi lidi. Tra le mete possibili, il sud Italia rappresenta una destinazione ideale: frammentato politicamente in sfere di influenza contese tra chiesa, longobardi, arabi e bizantini, la regione promette ampie opportunità di impiego come mercenari al soldo del miglior offerente. 

L’arrivo dei normanni in sud Italia risale all’inizio dell’XI secolo e trae origine da un fatto di sangue: Osmond2 Drengot, appartenente alla piccola aristocrazia, uccide Guillaume Repostel, parente del duca Riccardo II di Normandia, e viene perciò bandito. La decisione serve da scusa a Osmond per imbarcarsi in una grande avventura: convocati i suoi fratelli Gilbert, Asclettin, Ralph e Ranulf (segnatevi quest’ultimo nome), raduna un piccolo ma agguerrito contingente composto da duecentocinquanta armigeri con cui si reca in pellegrinaggio al santuario di San Michele Arcangelo nel Gargano (il santo guerriero, da sempre caro ai cattolici di origine germanica). Qui i normanni iniziano a offrire protezione – in cambio di compenso, si intende – ai pellegrini, guadagnandosi presto fama di abili combattenti. In breve tempo vengono chiamati a difendere le città costiere dalle incursioni dei pirati saraceni, e da lì a breve si buttano nell’agone politico partecipando attivamente alle ribellioni antibizantine promosse dall’aristocrazia longobarda. In un contesto dove le alleanze cambiano dalla sera alla mattina in un susseguirsi di colpi di scena, i normanni primeggiano in astuzia e abilità, dimostrando come una minoranza guerriera sia in grado di prevalere su potentati divisi e litigiosi 

Nel 1025 il dominio bizantino in Italia subisce un grave colpo con la morte dellImperatore Basilio II, amarissima ciliegina su cinquant’anni di un’autorità imperiale che stenta a stare dietro a un mondo in rapida evoluzione. I longobardi annusano sangue e reclutano i normanni come mercenari per fare breccia nei possedimenti bizantini. In particolare, il Principe di Capua Pandolfo IV attacca le vicine città di Napoli e Gaeta, e notando scarsa resistenza ci prende gusto, continuando a fare affidamento sui normanni per costringere i vicini alla piena sottomissione. La figura di spicco tra i mercenari al servizio di Pandolfo è sicuramente quel Rainulf Drengot fratello del già citato Osmond. Nel 1029, Rainulf cambia alleanza in favore del duca di Napoli Sergio IV che in segno di riconoscenza gli concede il territorio di Aversa e gli offre in sposa sua sorella Sichelgaita, già vedova di Leone I Docibile duca di Fondi e del duca di Gaeta Giovanni IV (sic!): decisamente una mano vincente per il condottiero normanno, che lasciando al palo Pandolfo ottiene il controllo su Aversa e Gaeta, parentele importanti e un posto di tutto rispetto tra l’aristocrazia del tempo. È nei pressi della chiesa votiva di Sancte Paulum at Averze che i normanni stabiliscono un primo caposaldo in sud Italia3. Rainulf vi costruisce un palazzo fortificato, raggruppando i casali del territorio nella città di Aversa che dota di fossati e fortificazioni, organizzando in maniera sapiente la sfaccettata struttura sociale ed economica del suo dominio attraverso un diritto comune4. 


Busto attribuito a Rainulf Drengot.

Nell’arco di pochi anni e su invito di conte Rainulf, ad Aversa accorrono numerosi armigeri normanni, tra cui uno dei dodici figli di Tancrède de Hauteville5, Guillaume Bras-de-fer (Guglielmo Braccio di Ferro), appellativo che secondo la tradizione si guadagnerà uccidendo in duello l’emiro di Siracusa. Con il fratello minore Drogo, Guglielmo inizia la conquista della Calabria ma è suo fratello Roberto il Guiscardo (dall'antico francese guischart, “furbo”) detto anche Terror Mundi a completare l’opera stabilendo il dominio normanno sul sud Italia peninsulare.  

Il 1059 è un anno chiave per Roberto: si firmano gli Accordi di Melfi in cui papa Niccolò II lo proclama «duca di Puglia e Calabria e [...] futuro Signore della Sicilia» con buona pace di arabi e bizantini che controllano ancora parte se non la totalità di quei territori. Sempre nel 1059, dopo aver ripudiato la prima moglie Aberarda, Roberto convola a nozze con Sichelgaita, sorella di Gisulfo II, principe longobardo di Salerno. È il proverbiale piede nella porta: nel 1076, a seguito di mutate circostanze politiche, Roberto spodesta Gisulfo e assume il controllo di Salerno che elegge a capitale del suo dominio. Bolle papali e giochi di corte a parte, Roberto non perde di vista la sostanza delle cose, “la volpe” sa bene che le sue conquiste si basano sulla forza d’arme e per questo motivo profonde generose elargizioni ai suoi migliori guerrieri, assegnandogli feudi e supporto nella costruzione di fortezze e consolidando in questo modo il suo potere. Nel 1061, Roberto inizia la campagna di Sicilia con il fratello Ruggero I, che quest’ultimo porta a termine con la conquista di Palermo nel 1072, mettendo di fatto fine al dominio arabo sull’isola. Le conquiste vengono suggellate con il trattato di Ceprano nel 1080, con cui papa Gregorio VII conferma a Roberto quasi tutte le sue conquiste6, credendo in questo modo di essersi guadagnato un valido alleato contro l’Imperatore dei Romani Heinrich IV. 


Papa Niccolò II nomina Roberto il Guiscardo Duca di Puglia e Calabria.

A Montecassino è abate in quegli anni il filonormanno Desiderio, futuro papa Vittore III. È nell’alveo di una chiesa sempre più dipendente dal potere normanno che il cronista Amato di Montecassino redige la sua Historia Normannorum (c. 1080), nella quale rimarca «la giusta volontà di Dio» ad affidare «la terra d’Italia ai normanni a causa della perversità di coloro che la governavano». Volontà divina a parte, la storia della conquista normanna del sud Italia è realmente l’epica dei fratelli Drengot e de Hauteville che da natali non particolarmente illustri7 riescono, nell’arco di appena una generazione, a conquistare territori ricchi e contesi. 

Anni dopo la morte di Roberto nel 1085, la principessa bizantina Anna Comnena ricordandoci ovviamente chi, come, quando e perché scrive dipinge un ritratto particolarmente suggestivo del Guiscardo, applicabile in larga misura a molti condottieri normanni che lo avevano preceduto e che gli sarebbero succeduti: «Questo Roberto era di stirpe normanna, di bassi natali, cupido di potere, d'ingegno astutissimo e coraggioso nell'azione: aspirava soprattutto alla ricchezza e alla potenza dei grandi, e mostrava un'invincibile fermezza nel tener dietro ai suoi concepimenti, allorché ostinavasi di mandarli a buon fine. La sua statura era notevole, tale da superare anche i più alti fra gli individui; aveva una carnagione accesa, tendente al rosso, i capelli di un biondo chiaro, le spalle larghe, gli occhi chiari ma sprizzanti fuoco. La conformazione del suo corpo era elegantemente proporzionata. [...] In quanto alla voce, si racconta che il grido di quest'uomo avesse messo in fuga intere moltitudini. Così dotato dalla fortuna, dal fisico e dal carattere, egli era affatto alieno dall'assoggettarsi a chiunque, o dal prestare servile omaggio». 

Ed è sulla grande scia di Roberto e della dinastia de Hauteville che si collocano le vicende della famiglia de Blosseville e in particolare di Guillaume, duca di Gaeta per un breve lasso di tempo durante il quale ha lasciato testimonianze tangibili sul territorio. La storia del duca Guglielmo ha inizio con la conquista normanna dell'Inghilterra nel 1066, alla quale partecipa come cavaliere il padre, Gilbert de Blosseville. In cambio dei servigi resi, Gilbert ottiene il maniero di Harrold dove nasce appunto Guglielmo nel 1080. Da bravo normanno, ancora giovane non rimane in Inghilterra a trastullarsi con le ricchezze paterne e decide di imbarcarsi per il sud Italia come soldato di ventura. Nel frattempo Gaeta sta attraversando un periodo piuttosto turbolento... Per capirlo, dobbiamo tornare indietro di mezzo secolo, al dominio aversano della famiglia Drengot.


Scena 55 e 56 dell’arazzo di Bayeux (fine XI sec.) raffigurante cavalieri normanni in carica durante la battaglia di Hastings (1066 d.C.) che sancisce la fine del dominio sassone sull’isola. Verosimilmente, i normanni che prendono Messina cinque anni prima erano equipaggiati allo stesso modo.

Anno Domini 1035. Grazie alla sua vicinanza a Capua e a Napoli, la contea di Aversa fa il bello e il cattivo tempo tra questi due centri di potere, assicurandosi che nessuno prevalga sull’altro. Ricordate il matrimonio di Rainulf con la figlia di Sergio IV? Alla morte di questa, Rainulf sposa una nipote di Pandolfo (1035), ristabilendo la vecchia alleanza con Capua che ottiene così una posizione di assoluto rilievo. Le contese tra Capua e Montecassino inducono però Rainulf ad appoggiare Guaimar V principe di Salerno con cui si unisce a Heinrich II Imperatore del Sacro Romano Impero nella sua campagna contro Pandolfo, che viene sconfitto e costretto all’esilio. In cambio della sua fedeltà, durante il suo soggiorno capuano Henry II investe Rainulfo con la lancia ed il gonfalone, confermando la legittimità dei Drengot al governo della Contea di Aversa. Non pago dei risultati ottenuti, la cavalleria normanna supporta Guaimar V in tre successive spedizioni che portano alla conquista dei ducati di Amalfi, di Sorrento, e di Gaeta (giugno 1040) per probabile intercessione di Guaimar, che in questo periodo funge da rettore dell’Imperatore d’Occidente per il sud Italia. Rainulf viene formalmente eletto duca di Gaeta nel dicembre del 1041. Rainulf muore nel giugno del 1045, al massimo della gloria raggiunta dalla Contea che egli stesso aveva fondato con l’appoggio dei suoi fratelli. Non avendo eredi diretti, gli succede Asclettin II, figlio di suo fratello Asclettin “il Giovane” che muore pochi mesi dopo. Approfittando del vuoto di potere, Guaimar di Salerno coglie l’occasione per nominare un suo fedelissimo, Rudolph Cappellus8 che viene però deposto nel 1048 dai cavalieri normanni fedeli alla famiglia Drengot. Ad ascendere al trono di Aversa è quindi Rainulf II Trincanotte (figlio di Ralph, nipote di Rainulf I) fino al 1050, seguito dal figlio Herman che governa un solo anno per arrivare finalmente a Richard I9, figlio di Asclettin (fratello di Rainulf I).  

Richard I era nato e cresciuto in Normandia. Venuto a conoscenza dei guai in cui era caduta la contea alla morte dello zio, parte alla volta del sud Italia accompagnato da quaranta cavalieri. Depone il cugino Herman e sotto il suo potere cambia tutto. Riprende la politica espansionistica di Aversa che non tarda a scontrarsi con i vicini longobardi, tra cui Pandolfo VI di Capua, Atenolfo I di Gaeta e Gisulfo II di Salerno. Come avvenuto per altri grandi potentati, anche il longevo dominio longobardo in Italia è ormai al crepuscolo: i normanni la spuntano su Salerno, riducendo i confini dell'antico principato a poco più della città stessa. Successivamente, Richard tenta anche un fidanzamento tra sua figlia e il primogenito del duca di Gaeta; quando il ragazzo muore prima delle nozze, insieme alle condoglianze Richard fa recapitare la richiesta del lascito dovuto alla figlia, che come c’era da aspettarsi Atenolfo I rifiuta innescando la reazione probabilmente programmata del conte normanno, che muove guerra ad Aquino (un feudo tenuto da Gaeta), conquistandola nel 1058. Atenolfo I è costretto a versare la somma di 4000 soldi d’oro e quando muore quattro anni dopo, Richard e il figlio Giordano assumono il controllo del ducato permettendo però ad Atenolfo II di governare come loro vassallo fino al 1064, quando Gaeta diventa città vassallo e quindi tributaria dei domini Drengot (Principato di Capua e Contea di Aversa). Durante questo periodo a Gaeta vengono eletti duchi provenienti da varie famiglie locali di spicco, prevalentemente di stirpe normanna. Tra questi, il primo è Guillaume de Montreuil, appartenente ai Giroie, una famiglia franco-normanna di medio lignaggio. Attirato in Italia dalla possibilità di ricchezza, in breve tempo dimostra le sue abilità marziali guadagnandosi una certa fama al servizio di papa Alessandro II, eradicando un gruppo di scismatici in Campania e partecipando alla crociata di Barbastro10. Il conte Richard di Aversa plaude a tanta intraprendenza, si fa due calcoli e conclude che un guerriero valoroso come Guillaume è meglio tenerselo amico, meglio ancora farselo parente. Gli offre in sposa una sua figlia11 che in dote porta la contea dei Marsi e quella di Aquino (sue a parola ma ancora da conquistare) in aggiunta al ducato di Gaeta, questo sì in mano normanna. La povera sposa non fa nemmeno in tempo a godersi il profumo di salsedine che Guillaume, forse persuaso dalla politica cittadina a perseguire una maggiore autonomia, tenta di ripudiarla in favore della duchessa Maria, vedova di quel duca Atenolfo I morto due anni prima (1062). Questa volta però il papa risponde picche12. Guillaume fa spallucce, stringe un sodalizio con Maria e una serie di alleanze: il conte Atenolfo II dAquino e Lando13 conte di Traetto (attuale Minturno) con suo figlio Pietro rispondono all’appello.  


Illustrazione di Simone Canova su indicazioni di Jason R. Forbus.

A Guillaume il potere longobardo torna comodo per liberarsi dell’ingombrante autorità dell’ex suocero, e dopo chissà? The sky is the limit. È giovane, abile e ha tanti amici. Chiede e ottiene soldi e rinforzi da suoi compatrioti in Puglia. Ultimati i preparativi, gli schieramenti si dispongono lungo la sponda campana del fiume Garigliano, nei pressi di Traetto. Per due mesi si fronteggiano in brevi scaramucce fino a quando Guillaume e i suoi sodali restano a corto di razioni per le truppe e riparano in Aquino, dove l’alleanza va in frantumi. A questo punto Guillaume trova rifugio nel castello di Piedimonte, dove tenta di raccogliere i mezzi necessari per riprendere le ostilità ma le nozze con i fichi secchi non si fanno e l’armigero resta con un pugno di mosche. Nel frattempo, conte Richard insinua gli ex alleati di Guillaume: fa sposare la duchessa Maria con suo figlio Giordano14, a Lando conte di Traetto offre la mano di un’altra sua figlia e lo nomina duca di Gaeta. Guillaume capisce che tira brutta aria e per intercessione di suoi amici chiede e riottiene dal conte Richard la mano di quella sua povera figliola. Il “figliol prodigo” sta evidentemente simpatico a Richard, che lo riempie di doni ma senza restituirgli le terre concesse in origine. Mentre Guillaume si trova presso la corte aversana, i castellani di Piedimonte si ribellano – possiamo immaginare che nella sua ora più buia Guillaume abbia tentato di spremerli come limoni: tutti gli armigeri normanni rimasti a difesa del castello vengono trucidati a colpi di mazza e forcone. Molti tra questi erano amici di Guillaume, avevano combattuto insieme a Barbastro cingendosi di gloria«Cavalieri morti per mano di bifolchi!». L’evento segna in maniera profonda il normanno. Passa del tempo e Guillaume è sempre più insoddisfatto dello stato di cose, sente che non sta facendo onore al suo nome standosene tranquillo a godere delle ricchezze del suocero, insiste che qualche terra tocca anche a lui e quando Richard gliele nega decide di prendersele con la forza. In questa seconda ribellione entra di prepotenza papa Alessandro II: lo sposalizio tra Guillaume e la figlia di Richard è regolarmente in corso, ergo il contratto che gli attribuisce Gaeta, Aquino e Traetto è valido15. E chi glielo dice, adesso, a Giordano e Maria che devono liberare il palazzo? Capite che Richard non può accogliere la richiesta. Per convincere il suocero, Guillaume e la sua compagnia iniziano a vagare per le terre del conte, dando alle fiamme interi villaggi. La misura è decisamente colma. Richard ordina a suo figlio Giordano di muovere guerra contro il genero. Il duca di Gaeta e i suoi duecentosessanta cavalieri non trovano Guillaume da nessuna parte, sembra essersi volatilizzato (è a Roma per chiedere supporto di uomini e mezzi al papa). Giordano fa allora irruzione nei territori di Guillaume, razziando e depredando. Quando Guillaume torna chiede la restituzione del maltolto: non era in casa e l’atto di Giordano equivale a un furto16. Il rifiuto provoca le ire di Guillaume che raduna un poderoso esercito di ottocento cavalieri e trecento fanti. Dopo una sanguinosa battaglia e sopraffatto dalla superiorità numerica dell’avversario, duca Giordano batte in ritirata, lasciando sul campo il bottino e le bestie sottratte a Guillaume che vittorioso marcia su Aquino. Il conte di Aversa è stanco e chiede l’intercessione del Guiscardo ma ancor prima che i negoziati possano cominciare, sic transit gloria mundi, Guillaume contrae una febbre violenta e in breve tempo muore. 


Il campanile della cattedrale di Gaeta (1148 – 1279) risente fortemente dell’architettura normanno-moresca nella fase iniziale della costruzione, rappresentazione tangibile della saggezza con cui gli Altavilla riuscirono a far convivere una società complessa e multiculturale qual era la Sicilia del tempo e, a vari livelli, il sud Italia tutto. Foto di Jason R. Forbus.

Non c’è pace tra gli ulivi e dal 1067 al 1091 il governo di Gaeta passa nelle mani di un’altra dinastia normanna, quella di Geoffrey Ridel che fu tra i capi della prima campagna di Sicilia. Geoffrey e i suoi successori Raynald e Gualganus esercitano la propria autorità da Pontecorvo come vassalli del Principe di Capua, concentrando il potere intorno ai propri possedimenti rurali e in larga parte disinteressandosi di Gaeta, forse troppo urbana per i loro gusti. Questo distacco e il ricordo ancora vivo della propria indipendenza induce il popolo gaetano alla ribellione: la miccia si accende con la morte di Giordano e si conclude con l’instaurazione al potere di un personaggio di cui sappiamo poco, un certo duca Landolfo che governa fino al 1103, quando ecco comparire sul palcoscenico della storia il succitato Guglielmo17 di Blossavilla, che prende Gaeta con la forza. Guglielmo non perde tempo a consolidare il proprio potere con due azioni dalla valenza simbolica e strategica: fa apporre sui follari in circolazione l’iscrizione “DV” o “Dux Villelmus”, latino per duca Guglielmo18, e avvia la costruzione di Roccaguglielma nell’attuale comune di Esperia sopra una precedente struttura 


Roccaguglielma in Esperia. Foto di Jason R. Forbus.

Il castello viene eretto in cima al Monte Cecubo con il preciso scopo di sorvegliare la sottostante Valle Gaetana e il passo montano che collegava Aquino e Pontecorvo al ducato di Gaeta, aggirando in questo modo i territori di Montecassino che non erano sotto il controllo normanno. Ai piedi del castello Guillaume fa stabilire anche una comunità stanziale che difende con una cerchia di mura rinforzate da dodici torri e tre porte di accesso dette Caporave, Santo Spirito e San Bonifacio19. Nei secoli successivi, la formidabile posizione di Roccaguglielma la rende un sito conteso, facendola passare di mano a famiglie nobili come gli Spinelli, i della Rovere e i Farnese, adeguando il proprio sistema difensivo alle nuove tecnologie belliche fino al XV secolo, quando Roccaguglielma subisce quello che può facilmente dirsi l’assedio più violento. Il sud Italia sta cambiando dominazione, questa volta è il turno degli spagnoli comandati da Gonzalo Fernández de Córdoba, il Gran Capitano che nella sua avanzata verso Gaeta cinge di assedio il castello: «perché egli avesse a troncare i capi dell’Idra, che’ nuovamente cominciavano a rampollare. Imperciocché Roccaguglielma avea innalzate le corna e non era per starsi sotto il dominio de’ Signori Aragonesi. Viensene egli con ogni celerità accompagnato da tutte le sue schiere, e senza metter tempo in mezzo, mette assedio a quella fortezza, che si era così follemente ribellata. Ma quelle genti, quantunque aspre e guerriere, non possono sostenere un assedio così grande; e conoscendo quanto fosse incomparabile la possanza del Capitano e dell’esercito, dopo alcune picciole difese, si arrendono, salve le persone e l’avere. Consalvo lascia ben munita e presidiata quella Rocca, ed egli senza fermarsi un momento di tempo se ne corre ad assalire la Città di Gaeta. [...] Ma Roccaguglielma, avvezza a cercar sempre novità e divota al nome francese, apparecchia nuovi agguati a’ nostri. E non contenta di aver serrato le porte in viso a Consalvo, il quale se non fosse stato interrotto dalla malvagità di costoro, avrebbe porto in sconfitta i Francesi, ebbe anco ardire di macchinare contra la vita di D. Tristano di Acugna, Capitano di fanteria spagnuola, uomo fedelissimo sopra ogni altro; il quale essendo nato di famiglia illustre, non volle tralignare da’ suoi, e lasciato dal Gran Capitano in guardia di quel luogo, avea sempre adempiuto ogni suo dovere. Costoro dunque, chiamate alcune compagnie de’ Francesi, di quelle istesse ch’erano dentro Gaeta, prendono improvvisamente D. Tristano, e fanno ogni lor forza per prender la Rocca. Ma la Rocca fu difesa da tre valenti uomini, i quali fecero riuscir vano ciò, che disegnavano questi malvagi. Come Consalvo ebbe [nuova] che le genti di quella Rocca erano trapassate tant’oltre, ordina a Pietro Navarro che senza metter tempo in mezzo vada tosto a dibellarle, e che non lasci impunita una tanta scelleraggine. Il Navarro fa i comandamenti del suo Signore, e perviene a’ nemici, e secondo la sua usanza gli assalta ed abbatte, e ristora in poco d’ora tutta quella perdita, che aveano fatto i nostri in quel luogo. Aggiungesi a quella un’altra gloria, e di maggior momento, perché quegli Francesi che le genti di Roccaguglielma aveano chiamato in lor difesa, senza sapere nulla della venuta del Navarro, s’incontrano in lui e, non potendo stargli incontro, si ritraggono indietro e dannosi in fuga, e salvansi. E fecero così appunto, come fa un viandante quando incontra nelle selve gli scherani, che volge i passi indietro e corre dove più il porta l’empito della paura,» ma colpo di scena: «quantunque procaccino di non incorrere in Scilla, percuotono nondimeno in Cariddi, perché ricuovrano in Itri e sono tutti presi a man salva dalle donne di quel paese, senza camparne pur uno20» 

L’assedio del Gran Capitano danneggia gravemente Roccaguglielma, che riesce però a riprendersi e a conoscere il suo periodo aureo tra il XVI e il XVII secolo, almeno fino al 1654 quando a seguito di un violento terremoto il castello subisce una nuova devastazione. Il suo tempo come fortezza è agli sgoccioli, in un mondo ormai proiettato verso l’età moderna il castello perde la sua antica importanza e viene progressivamente abbandonato alla furia degli elementi. Nei secoli successivi, le rovine diventano rifugio sicuro per briganti, tra cui i più noti Fra Diavolo e Chiavone. L’ultimo episodio che ha interessato Roccaguglielma è avvenuto il 15 maggio del 1944, quando alcuni abitanti di Esperia in cerca di salvezza sono caduti vittima dei bombardamenti alleati. E pensare che tutte queste vicende scaturiscono dalla volontà di un armigero normanno di incastellare il Monte Cecubo... 

La buona volontà di Guglielmo non basta a tenerlo al comando di Gaeta: nel 1105 viene deposto e bandito da un altro nobile normanno, Richard L’Aigle21 (Riccardo d’Aquila) conte di Fondi. A differenza di Guglielmo, Riccardo e i suoi successori sono di fatto indipendenti dal potere capuano, nel frattempo indebolitosi dopo la morte di Giordano I. A Riccardo succede il figlio primogenito Andrea (1111), che scompare dalla scena appena un anno dopo, probabilmente morto in circostanze a noi sconosciute E i capuani che nel frattempo avevano recuperato le forze installano sul trono Gionata (1113), cui si oppone strenuamente Rangarda22, che alla morte del marito Riccardo aveva sposato in seconde nozze un conte Alessandro di Sessa. Insieme a questi aveva occupato Suio provocando la rivolta degli abitanti e la rappresaglia di Montecassino, che riuscì a catturare il conte Alessandro. Rangarda non si arrese e per tutta risposta occupò turrem quæ Ad mare dicitur, Torre Capodiferro sul Garigliano, causando non poco filo da torcere a Gaeta, senza però riuscire a far vincere le sue ragioni. In ogni caso, Gionata muore nel 1120 e gli succede lo zio, Riccardo di Carinola, che assume il comando della città come duca Riccardo III. 


Torre di Pandolfo Capodiferro (X sec.) altrimenti detta Turris ad Mare, fu minata e fatta brillare dalla Wehrmacht nel dicembre del 1943 per rallentare l’avanzata angloamericana.


Questa lunga serie di avvicendamenti politici e militari si conclude con l’arrivo di re Roger II, che annette tutti i possedimenti degli Altavilla e di Capua al regno di Sicilia, segnando di fatto la fine dell’indipendenza gaetana. Era questo il segno di un consolidamento dell'autorità reale in Sicilia, che al pari di quanto stava avvenendo in Francia, Spagna e Inghilterra doveva segnare il germe di uno stato unitario, quello napoletano/duosiciliano, che conoscerà alterne fortune attraverso le varie dominazioni che si avvicenderanno al potere. 

Iniziato con la forza delle armi, il “regno del sole” che gli uomini del nord si erano ritagliati in sud Italia si conclude con un matrimonio: Costanza d’Altavilla sposa Heinrich VI von Schwaben, e i domini normanni vengono incamerati nel Sacro Romano Impero per successione. Dall’unione di Costanza con Enrico nasce un grande della storia, Friedrich Roger di Hohenstaufen, quel Federico II che gli annali ricordano con l’appellativo di Stupor Mundi. Ma questa, cari lettori, è decisamente un’altra storia... 


NOTE

Questo articolo è stato pubblicato nella Gazzetta di Gaeta: Guerra e pace con il titolo "Gli uomini del nord e il regno del sole".


  1. Si è voluto, dove possibile, adoperare gli originali nomi in norreno, lingua d’oil e germanica.
  2. Secondo altre fonti sarebbe stato il fratello Gilbert.
  3. Qualche anno prima, precisamente nel 1022, Gilbert Drengot fratello di Rainulf aveva già ottenuto il riconoscimento della contea di Ariano (attuale Ariano Irpino, AV) da Heinrich II di Franconia, re d’Italia e Imperatore del Sacro Romano Impero d’Occidente ma è ad Aversa che si genera il fermento che condurrà i normanni alla conquista del sud Italia. Ad Ariano Irpino insiste il castello che i normanni edificarono su precedente fortificazione longobarda, gravemente danneggiato da una serie di terremoti tra il 1688 e il 1732.
  4. Definito dai documenti come mos francorum.
  5. Hauteville-la-Guichard, piccolo centro della Normandia fondato dal vichingo norvegese Hialtt (Hiattvilla), capostipite degli “Altavilla”.
  6. «Io Gregorio, investisco te Roberto duca, di quella Terra, che ti concessero i miei predecessori Niccolò II, Alessandro II di buona memoria; dell’altra terra poi, che tu tieni ingiustamente, come è Salerno, Amalfi e una parte della Marca Fermana, Io soffro le tue conquiste, fidando in Dio onnipotente, e nella tua rettitudine, che tu fra poco ti regolerai in quel modo per onor di Dio e di San Pietro, che a te e a me parrà convenire, senza pericolo dell’anima tua, e mia.»
  7. Si narra che il padre acquisì una certa notorietà uccidendo un cinghiale dalla ferocia inaudita.
  8. Appartenente alla famiglia nobile dei signori di Quarel, che studi collocano nell’attuale centro di Les Carreaux nel dipartimento di Seine-Maritime.
  9. «Bello di forme e di statura signorile, giovane, di faccia chiara e risplendente di bellezza; era amato da tutti coloro che lo vedevano». Cfr. Amato di Montecassino.
  10. Per papa Alessandro II ricopre il ruolo di gonfaloniere e nel 1063 comanda la cavalleria papale nella conquista della città musulmana di Barbastro, odierna Spagna. Una volta all’interno della città i crociati, compreso gli uomini al seguito di Guillaume, si lasciano andare a ogni genere di crudeltà e dissolutezza, massacrando più di 50.000 persone (una stima probabilmente esagerata ma che offre la misura della lunga e tumultuosa Reconquista). In questa occasione Guillaume avrebbe accumulato un grande bottino di guerra rapinando centinaia di donne dei loro ori e monili, che distribuisce tra i propri familiari in Normandia e alla chiesa.
  11. Einar Joranson, The Inception of the Career of the Normans in Italy: Legend and History, Speculum, Vol. 23, No. 3 (luglio 1948), p. 389
  12. «Abbiamo udito attraverso la testimonianza di molti che desiderate liberarvi di vostra moglie, usando come pretesto una supposta consanguineità, e unirvi a un'altra. Lo proibiamo per autorità apostolica e vi ordiniamo di non ripudiare in alcun modo la moglie che avete o di sposarne un'altra, fino a quando il caso non sarà stato esaminato da un consiglio di vescovi della chiesa».
  13. Entrambi figli della duchessa Maria.
  14. Nel medioevo non ci si sposava in chiesa ma alla presenza di un notaio. In una società profondamente religiosa, restava chiaramente un vincolo suggellato dalla fede ma anche un contratto estremamente pratico che definiva in maniera specifica la dote, gli impegni presi dalle famiglie degli sposi, ecc.
  15. Cfr. Cronache Normanne di Amato di Montecassino.
  16. La richiesta di Guillaume per la restituzione dei suoi animali si riferisce ai privilegi temporali solitamente associati e concessi ai crociati e ad altri coinvolti nelle “guerre sante”. Quando papa Urbano II proclama la prima crociata nel 1095, queste promesse di protezione per i beni e la famiglia di un crociato durante il loro servizio per la chiesa servono da incentivo. Ma le origini di questi privilegi concessi dalla chiesa precedono le crociate, e ad essi che Guillaume si appella. Vedi: Edith Clementine Bramhall, The Origin of the Temporal Privileges of Crusaders, The American Journal of Theology, vol. 5, n. 2 (aprile 1901), pp. 279-292.
  17. Decisamente un nome che va per la maggiore tra i normanni del periodo.
  18. Salvatore Ferraro (Mons.), Le Monete di Gaeta con appendice su le medaglie, Tipografia Melfi & Joele in Napoli: 1915, p. 66
  19. Paolo Palazzo, Roccaguglielma Esperia. Storia, avvenimenti, curiosità, Tipografia Arte Stampa in Roccasecca (FR): 1 agosto 2018, EAN 9788895101651
  20. Giovanni Battista Cantalicio, trad. lingua toscana di Sertorio Quattromani, Le Historie delle guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando di Aylar di Cordova, detto il gran Capitano, edito da Giovanni Giacomo Carlino in Napoli: 1607.
  21. Come per altri aristocratici normanni, deve il nome all’omonimo comune nel nordovest della Normandia.
  22. Forse nipote di Marino II duca di Fondi.



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