martedì 13 novembre 2012

Un goccio dell'anima mia


Asserragliato in casa sua dai ricordi, Ishgrad si accese una sigaretta che durò a lungo, ma non abbastanza.
Due, forse tre spiriti già lo fissavano in quel modo sfrontato di chi vuol bere senza pagare. E lui capì che era giunta la sera.
“Sia, a voi un goccio della mia anima.”
Perché di sbagli che non furono sbagli Ishgrad ne aveva commessi tanti, e per questo gli toccava offrire ogni sera. Aveva, in breve, vissuto e l’aveva fatto con tenacia, inseguendo i suoi sogni finché le gambe e gli stivali gli avevano retto e, quando questi avevano ceduto, aveva comunque fatto la corte alle stelle.
Ma ora non più. Era vecchio, Ishgrad, così vecchio da voler dimenticare i suoi viaggi per sgombrare la testa e far spazio alla morte.
Così prese il coltello e, procuratosi un taglio sottile sulla pelle raggrinzita, riempì un calice con tante stille quanti erano gli ospiti, invisibili ma tangibili. Versò in tutto tre gocce: non una di più, non una di meno. Questa, sapete, era la regola.
Al tramontar del sole, infatti, venivano gli spiriti a bussare sull’uscio della sua porta. Alcuni li conosceva ma altri erano spiriti che, abbandonati da tutti fuorché dal proprio dolore, cercavano di intrufolarsi a quella macabra festa.
Quella notte, nella casa di Ishgrad c’era un amico scomparso poco prima che iniziasse l’inverno, una donna amata e salutata alla stazione dei treni e, guarda un po’, uno sconosciuto.
All’amico, Ishgrad disse: “Dovevamo invecchiare come bambini ma ci hanno obbligato a invecchiare da uomini.”
All’amata di un tempo, Ishgrad disse: “Ti salutai lì, sui gradini del treno, perché ebbi paura della tua bellezza. E dal finestrino continuai a salutarti, timoroso dei tuoi occhi e dei tuoi baci, finché sparisti all’orizzonte.”
Quando giunse il turno dello sconosciuto Ishgrad si levò in piedi e disse: “Sei in ritardo… ma si sa, le vere dame si fanno sempre aspettare. A te, non posso che offrire un calice intero e brindare alla vita…”
Il tintinnare dei calici echeggiò nel silenzio e, per un brevissimo istante, lo fece sentire meno solo. L'incontro si era compiuto, e alla Luna non rimase altro da fare che completare il proprio corso intorno alla Terra. Quando, ore dopo, scomparve dal cielo, Ishgrad aveva già raggiunto quel luogo dove i suoi passi non avrebbero potuto condurlo.
E il Sole, ignaro di tutto, albeggiò.

di Jason Ray Forbus

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