da “Il Manuale del Perfetto Pellegrino”
I non troppo onorevoli ma onorati parlamentari si presentarono intorno all’ora prestabilita, chi prima e chi dopo. L’aula fu presto gremita da personalità che dalle piazze di paesi piccoli e grandi avevano conquistato la ribalta della televisione di regime. Passò poco ed ecco cominciare un vociare sommesso che andò crescendo gradualmente.
In effetti la Camera era un luogo di ritrovo, con tanto di sala ricreazione, dove incontrarsi con gli amici e organizzare festini a base di cocaina purissima e aspiranti veline. Alcuni deputati si salutavano da un lato all’altro della Camera, producendo gesti e schiamazzi da stadio. Altri, invece, trovavano subito posto nell’ala che gli spettava: sinistra, centro e destra. Da anni, ormai, si speculava che le poltroncine di sinistra fossero leggermente più confortevoli. Una diceria che aveva provocato non poche antipatie tra le fazioni politiche.
Camera degli Onorevoli Ladri |
Vero o falso che fosse, con il passare dei minuti gli onorevoli defluirono tra le fila di poltroncine. Sembrava di stare al cinema durante l’intervallo. Non ci volle molto perché la causa della loro presenza in Camera venisse eclissata da una marea di chiacchiere. Qualcuno lasciò trasparire un certo interesse alla faccenda del giorno, ma si trattava più di una cortesia fatta alla propria coscienza che altro. Probabilmente bisognava mettere ai voti un emendamento per aumentarsi gli stipendi, o qualche roba simile.
E poi era giovedì e non c’era neanche la televisione. Non valeva la pena agitarsi e sbraitare senza la telecamera ad immortalare il tutto. Si era addirittura pensato di chiedere i diritti televisivi, magari mettersi sulla TV digitale, un po' come col pallone, da sempre loro concorrente. Immaginate un gergo calcistico e qualche culo saltellante di soubrette a riempire lo schermo:“Oggi la sfida finale alla presidenza italiana, il campione della sinistra affronterà l’indiscusso capocannoniere della destra in un match che si preannuncia spettacolare!” Non c'era dubbio sul fatto che un cronista sportivo avrebbe aumentato lo share di sessioni altrimenti soporifere.
Uno scarno e silenzioso addetto cominciò a distribuire dei libricini. Sopra vi era stampato: “LEX XVII”. Gli onorevoli squadrarono con odio quel piccolo uomo che osava interrompere il flusso delle loro amabili discussioni e poi, come se nulla fosse accaduto, continuarono per le loro. Nessuno notò la goccia di freddo sudore che imperlava la fronte dell’addetto. Nessuno.
Quando un annoiato presidente della Camera, arrivato con un ritardo anomalo anche per i suoi standard poco dignitosi, chiamò al voto la platea di onorevoli, questi ultimi premettero un tasto a caso. Il risultato comparve poco dopo sullo schermo: per una strana combinazione, il “SÌ” aveva ottenuto un consenso unanime. Dalla Camera si levarono cori, fischi, burle e grasse risate.
Ma i cori, i fischi, le burle e le grasse risate morirono all’improvviso. Sulla lavagna luminosa era apparsa una scritta, a caratteri cubitali:
FINE.
A questo punto Ishgrad si trascinò all’interno dell’aula con fare baldanzoso. Con una brusca spallata fece volar via il presidente della camera e, allisciatosi i capelli che sapevano di strada, parlò al microfono:
«Onorevoli colleghi – ma io onorevole e vostro collega, mai – una spiegazione è doverosa, credo. Si dà il caso che la legge per la quale avete così bovinamente votato vi dimette dall’incarico con effetto immediato. Niente più caffè a 50 centesimi, auto blu per portare a spasso le vostre escort, portaborse o droga nella 24 ore, che fa anche vintage; niente più ville abusive o uscite brave con i soldi dello stato; niente più falsi sorrisi e vere bugie. Niente più. Tutti i vostri beni sono stati confiscati, quel che vi rimane sono gli abiti che avete indosso e le vostre preziose, lucide scarpe. Un vero peccato che non siano proprio adatte a camminare, perché vi aspetta una lunga e polverosa strada. È comunque ben più di quanto avessi io quando iniziai i miei pellegrinaggi. L’Italia, da oggi, è un’anarchia fondata sul diritto al sogno.»
Ishgrad scese dal palco e uscì dall’aula: la strada lo chiamava a sé, come l’amore di una donna.
Gli energumeni della sicurezza, rispettosi fino all'ultimo della legge imposta dall'alto, già invitavano gli ex onorevoli a sgombrare l’aula. Alcuni furono trascinati via urlando come ossessi slogan di partito e canzoncine in riva al mare, tutti si erano fatti da soli, tutti minacciavano, tentando di elargire mazzette su chiunque posassero lo sguardo, fosse anche la poltroncina alla quale si aggrappavano. Ma sfortunatamente per loro, in quel mondo non c’era più posto per il denaro.
In mezzo alla baraonda, l’omino che aveva distribuito i libricini uscì dal riserbo in cui viveva rinchiuso e strisciò timidamente fino allo scranno del presidente, come una formica che scala il cadavere di un gigante. Con voce flebile ma amplificata dal microfono, quell’arma straordinaria messa finalmente al servizio del silenzio, l’omino disse:
«La seduta, onorevoli colleghi, è sciolta.»
E l’ultima cravatta svolazzante si vide scomparire fra le porte che si chiudevano. Per sempre.
di Jason R. Forbus
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